Con questa frase inizia “Quoquo - la gola come ipertesto” libro dedicato al Salento leccese e ai suoi sapori di Titti Pece, storica e critica d’arte.
Cosa rappresenta per lei l'osservazione di Isidoro di Siviglia "Sapiens dictus a sapore"?
A questa domanda rispondo volentieri con un'altra citazione e con il rinvio ad alcune letture: così, solo per ritrovare un filo conduttore, come una linea di pensiero che, a guisa di filo d'Arianna nel labirinto del gran parlare che si fa di gusto e di sapore, ci consenta di ritornare a un punto di partenza. Per poi rifare la strada a ritroso e ritornare sino a noi, più consapevoli.
Il giovane Nietzsche, nel 1872, a proposito della parola greca sofòs (saggio) notava che "etimologicamente essa appartiene alla famiglia di sapio, gustare, sapiens il gustante, safés percepibile al gusto. Noi parliamo di gusto nell'arte: per i Greci l'immagine del gusto è ancora più estesa. Una forma raddoppiata sisufòs, di forte gusto (attivo); anche sucus appartiene a questa famiglia" (Lezioni sui filosofi pre-platonici).
Uso sempre anche un’altra citazione di Roland Barthes quando devo spiegare come nasce Quoquo, folletto del Gusto: "Il sapere non è altro che il dolce assaggio del sapore".
Quanto ad alcune letture, rinvierei a Michel Onfray:al suo "Il ventre dei filosofi", ma anche a "La raison gourmande".
Nel descrivere il suo viaggio a ritroso alla ri-scoperta dei sapori, lei usa due parole chiave che mi hanno colpito: “gola come ipertesto” e “bene culturale enogastronomico”. Può svelarci il loro significato?.
"Quoquo. La gola come ipertesto" è il titolo del mio primo libro dedicato a itinerari di gusto nel Salento. Non volevo fare una guida enogastronomia. Sapevo di voler fare una guida per viaggiatori del gusto. Come si può non ridurre il racconto di un territorio ad un piatto di pasta o all'indicazione di un ristorante o di un vino, se non dando a quel piatto di pasta o a quel bicchiere di vino la quantità e la bellezza di "sapore" che esso acquista e che ad esso viene da un insieme di relazioni e di incontri?
Entrare nel sapore dei luoghi, abitarli attraverso il sapore è una esperienza totale e totalizzante, poetica direi, anzi a dir meglio "estetica". Non si viaggia per mangiare. Si viaggia; e viaggiando si assapora: per conoscere. Metaforicamente dico che la gola, capitata per caso tra la mente e il cuore, è veramente il luogo dove passano tutti i circuiti, tutto ciò che prima mastichiamo e poi digeriamo: cibo, poesia, affetti, incontri, conoscenze, emozioni.
Il concetto di beni culturali enogastronomici mi consente di uscire dalla retorica del prodotto tipico e del prodotto di tradizione, termini consumati e inflazionati da una pseudoletteratura sottomessa spesso a sistemi di mercificazione e annegata in un blaterare mediatico. Ad esempio, nell'elenco ufficiale dei prodotti tipici della Regione Puglia, ci sono parecchie imprecisioni.
- La scapece in realtà oggi è un reperto archeologico, anzi un "rudere" che, se visto come bene culturale, potrebbe invece essere oggetto di un restauro gastronomico. E rientrare nel circuito della vera gastronomia anzichè essere solo baraccone da fiera.
- Alcune città vantano paternità che storicamente non appartengono loro (Lecce città delle lumache???)
- Infine si confondono i nomi delle cose. Come nel caso della "bocca di dama": un dolce antico, che nulla ha a che vedere e a che fare con quel che chiamano bocca di dama qui oggi.
Ma c'è di più: l'approccio come bene culturale consente di far entrare nella gamma delle cose soggette a tutela anche elementi del paesaggio agrario e aspetti della biodiversità. Penso all'alberello pugliese o al paesaggio della chiusura olivata, per esempio. Si determina una filiera culturale e storica nuova che modifica la filiera tradizionale entro cui si incanala il prodotto tipico. Nasce insomma una nuova definizione di "valore-gusto".
Qual'è il contributo della Puglia al patrimonio culturale enogastronomico italiano?
La nozione di patrimonio ha il pregio di unire la ricchezza che viene dalla storia (fatta di microstorie e storie del lavoro) a quella che si determina quando la storia, unita alla ricerca, diventa una risorsa. In questo senso va detto subito che un patrimonio non lo costruisce il marketing. A cui rimane invece il compito di comunicarlo.
Non è un caso, ad esempio, che tra i pochissimi pastifici che in Italia producono pasta con il metodo tradizionale (e con rigorosa selezione delle materie prime), ben due sono in Puglia. L'antico pastificio Benedetto Cavalieri di Maglie e il pastificio Benagiano di Samt'Eramo in Colle.
Mi piace anche ricordare il Negroamaro e la sua storia di vino emigrante, utilizzato nel corso del '900 per dare colore e corpo ai vini 'deboli' del Nord e che oggi, grazie al lavoro dei nostri enologi e viticoltori, vanta etichette eccellenti. A cominciare dal Patriglione, dal Graticciata, da Le Braci: tutti vini 'disegnati' da Severino Garofano un nome 'storico' nella enologia italiana.
Potrei continuare citando l'extravergine di oliva, il grande patrimonio costituito dalla cultura del pane. E le tante tecniche di conservazione con cui si passano all'inverno i prodotti e i cibi dell'estate. Ma ci vorrebbe un trattato.
Che sapore la riporta in maniera più diretta alla sua infanzia?
Il sartù di riso di mia nonna, originaria di Sant'Agata di Puglia e la sua gallina ripiena, il vincotto con la neve che raccoglievo sui tetti di casa; e le sere d'estate tutti a tavola con il grande piatto di "cialdella": pane duro bagnato e poi condito con olio d'oliva, pomodoro, aglio e origano. Profumatissimo e così semplice, eppure quel sapore, se provo a rifarlo, non lo trovo più, non so dove sia finito, perché e dove se ne sia andato. Si chiama cialdella a Cerignola, il luogo dove sono nata e dove ho trascorso infanzia e adolescenza.
Qual è il suo rapporto con la cucina?
La cucina non è il prodotto o la tecnica o la ricetta o il menu o chi sta ai fornelli: si ha cucina quando tutte queste cose ed altre cose che vi si uniscono (idee, desideri, sensazioni, emozioni ricordi, culture ed anche mercati, economie, comportamenti) prendono forma di sapore e diventano "linguaggio".
Guardo alle cucine come a comportamenti del linguaggio, pratiche significanti. Da storica dell'arte studiosa di Aby Warburg costruisco atlanti dei sapori come atlanti delle forme e della memoria. Il bello è che da ogni punto di questo atlante infinito partono microstorie che si mescolano alle storie 'eroiche'.
Quanto al mio stare in cucina, devo dire che cucino solo quando mi viene in mente un bel ricordo o, se trovo ispirazione in una lettura, cucino per sperimentare. A volte sono bravissima, a volte proprio non ci so fare.
A differenza di quel che risponderebbero quasi tutti, dicendo che l'amore per la cucina nasce dalle figure della nonna o della mamma, il mio rapporto con la cucina nasce dai libri, dalle letterature, dalle mie letture storiche. L'iniziazione avvenne quando intorno agli anni '70, mi appassionai ai "Trattati di cucina dal Medioevo all'Ottocento", un bellissimo libro comprato a rate nell’edizione dei Classici Einaudi.
Che consiglio si sente di dare ai turisti che decideranno di trascorrere le ferie in Puglia?
C'è chi si lascia rinchiudere nei recinti dei villaggi turistici dove imperversano le animazioni e menu regionali preparati come potrebbe fare Mac Donalds. La Puglia vera però è tutta un'altra cosa. Non è facile scoprirla nel pieno dell'estate. Meglio scegliere i mesi di giugno e di settembre, se si può.
Importanti sono anche le strade che si sceglie di percorrere. I paesaggi più belli e i sapori più interessanti di Puglia non sono sulle strade a percorrenza veloce. Per i viaggiatori del gusto la Puglia è una meta straordinaria, ma bisogna conoscere i posti giusti e per farlo attenzione alle guide che si trovano in giro, attenzione che più che vere guide non siano invece inserzioni pubblicitarie travestite da consigli.